Edit 22-1-2012: Aggiunto video della conferenza stampa sul decreto.
Si Monti parte davvero alla grande e incassa
la piena fiducia dei principali governi occidentali come Gran
Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti con una pertinente analisi
da parte del Financial Times sulla qualità del governo Monti e
la prospettiva futura di crescita che ha come esito la sua storica
azione di governo. Resta quindi da porre estrema attenzione e cautela
verso le note stonate che protestano per affossare un grande piano di
riforme e liberalizzazioni che faranno da traino e volano
all'economia Italiana già al centro di potenziali interessi da
parte di investitori esteri.
Il recente declassamento di S/P colpisce l'intera
eurozona. L'Italia era già ad A, quindi niente di nuovo sotto
il sole. La UE soffre sovraregolamentazione, iperaccentramento,
costosa e inutile burocrazia e di conseguenza governance caudicante.
Anche il governo Monti ne sottolinea le debolezze, invitando al
contempo un rinnovo delle partnership Europee e aggiungiamo
Occidentali e non la loro distruzione.
Per altro chi scrive aveva già declassato
l'Italia alla parte alta di B diversi mesi orsono per le ragioni che
spiegavamo qui:
Di fronte l'ennesima resistenza a tagli e
liberalizzazioni inevitabile quindi il downgrade e la previsione in
recessione che testimonia invero come la politica e la direzione di
Monti sia giustissima.
Del Resto l'Italia ricca e bellissima terra
al centro del Mediterraneo non ha mai avuto crisi prolungate. Ciò
che frena la crescita sono monopoli e oligarchie a dir poco obsolete
e anacronistiche oramai in bancarotta e di cui finalmente se ne può
fare a meno, portando l'Italia ad essere nuovamente una grande
nazione libera e moderna.
Chi scrive ritiene che in questo quadro un
default per il nostro paese sia da evitare e che solo lo slancio
dell'economia libera del paese potrà concretizzare in modo
sostenibile un taglio alla spesa e quindi diminuzione della pressione
fiscale nei prossimi anni.
Alla luce della relazione sulla bozza di
decreto sulle liberalizzazioni che ci apprestiamo a pubblicare e di
cui in coda riportiamo il link al testo, invitiamo seriamente dopo
loro attenta lettura, a considerare con spirito critico da chi
realmente provengano le proteste di questi giorni per mantenere lo
status quo.
Nonostante i nostri stessi dubbi iniziali, siamo
quindi uniti alla Giovane Italia su cui grava il magro futuro di un'
Italia decadente a causa di obsolete e fallimentari realtà del
paese che vorrebbero mantenere tale status quo e verso cui con forza
sosteniamo la forza riformatrice di uno dei migliori governi da 20
anni a questa parte come minimo, poiché composto da persone
realmente competenti. E' difficile che grandi riforme avvengano sotto
silenzio, ma è anche più difficile che grandi riforme
di libertà non portino ottimi frutti.
Il Presidente Madison diceva che
l'informazione deve appartenere al popolo e non al governo o alla
politica. E per questo allora è bene che il popolo si informi
da se stesso su quanto realmente contiene questa azione di governo:
Relazione alla bozza di decreto
L'accelerazione dei fenomeni economici impone
ai governi occidentali decisioni rapide e immediate. Non solo per
adeguare i tempi di reazione alla velocità imposta dai
mercati; ma soprattutto per difendere le tutele sociali ed il potere
d'acquisto dei cittadini Le previsioni economiche a medio termine
sono ancora condizionate da elementi di incertezza e criticità.
Il rallentamento della crescita assume dimensioni generalmente più
accentuate nei Paesi occidentali, rispetto alle economie emergenti di
Cina e India, Brasile e Russia. Le prospettive sono tuttavia ancor
più preoccupanti per il nostro sistema economico,
caratterizzato da tassi di crescita ben inferiori a quelli dei
principali partner commerciali.
A ciò si aggiungono mali antichi che
portano istituzioni internazionali (OCSE, World Bank e FMI) a
valutare l'Italia come un Paese in cui l'iniziativa economica privata
è fortemente scoraggiata a causa dell'atteggiamento
dell'amministrazione, non ultima quella fiscale; i processi
decisionali pubblici per l'avvio di nuove imprese e le autorizzazioni
delle grandi opere sono farraginosi; la giustizia civile, imbrigliata
dalla lentezza dei processi, ostacola il corretto funzionamento dei
mercati. Infine, in vaste aree del Paese problemi di ordine pubblico
costituiscono di per sé un ostacolo a volte insuperabile allo
sviluppo d'iniziative imprenditoriali lecite.
Il governo italiano si è finora
impegnato a garantire la sostenibilità della finanza pubblica.
L'evoluzione della crisi ha infatti colpito i debiti sovrani, e per
prima cosa era necessario e opportuno mettere in sicurezza le
fondamenta dello Stato; assicurare i servizi essenziali; difendere i
risparmiatori. In questo scenario, il risanamento della finanza
pubblica è divenuto un'emergenza non più rinviabile.
Negli ultimi tre anni gli sforzi sempre più incisivi di
Governo e Parlamento si sono concentrati su questo obiettivo.
L'acuirsi della tensione sui titoli del debito ha imposto
l'accelerazione dei programmi di consolidamento della riduzione
strutturale della spesa pubblica, realizzata da ultimo con il dl 6
dicembre 2011, n. 201.
Finora il governo ha agito sul "numeratore"
della crisi: i conti pubblici. Oggi è il momento di
intervenire sul "denominatore": la crescita.
La crescita non si costruisce in laboratorio. La
garantiscono, la assicurano, la realizzano i cittadini e le imprese.
I vincoli di finanza pubblica, ulteriormente
irrigiditi anche in virtù delle più recenti decisioni
assunte in sede comunitaria per garantire la stabilità
dell'euro, rendono non praticabili politiche fiscali espansive a
sostegno della domanda interna. La situazione impone pertanto
strategie alternative basate su interventi incisivi. Con l'obbiettivo
di favorire incentivi per l'iniziativa economica privata, creare
condizioni più favorevoli per l'investimento interno ed
estero, promuovere l'innovazione e più elevati livelli di
efficienza in genere, come del resto più volte segnalato negli
anni scorsi dalla Banca d'Italia e dall'Antitrust.
È in questa strettoia che si muove il
governo. Il Bilancio pubblico non può più favorire
la crescita. La Moneta unica ha reso impossibili le svalutazioni
competitive che hanno anestetizzato la mancanza di riforme
strutturali. Non resta, quindi, che liberare le risorse e la capacità
di intraprendere propria delle imprese italiane, intervenendo proprio
sugli ostacoli che hanno finora rallentato le potenzialità di
crescita.
È necessaria, quindi, una politica
economica adattata ai tempi. Che abbandoni progressivamente la
logica del sussidio alle imprese, come anche l'idea di poter
utilizzare l'amministrazione pubblica come ammortizzatore sociale; o,
peggio ancora, che venga interpretata esclusivamente come un bancomat
a disposizione del sistema, a prescindere dalla qualità della
spesa.
Appare sempre più urgente promuovere
le condizioni per una ripresa basata essenzialmente sullo sviluppo di
autonome attività d'impresa: la liberalizzazione dell'economia
rappresenta dunque una via ineludibile per il Paese, se vuole uscire
dalla crisi rinsaldando le fondamenta della propria economia.
Questa possibilità, tuttavia, si scontra con
alcuni ostacoli che caratterizzano storicamente il nostro sistema
sociale ed economico e che si sostanziano in una regolazione
protezionistica o comunque di ostacolo allo sviluppo di autonome
iniziative imprenditoriali.
Essenziale diviene una complessiva e
generalizzata opera di revisione del quadro normativo e regolamentare
che, ai diversi livelli di governo e di competenza e senza
distinzioni tra categorie, interessi e settori economici, elimini le
molte e ingiustificate situazioni di barriere all'accesso e le
rendite di posizione ancora esistenti. Con l'obbiettivo di ampliare
le opportunità di lavoro e le prospettive di mobilità e
di promozione sociale. Affinché un simile processo di riforma
possa conseguire concreti effetti è necessario che sia
sostenuto dal più diffuso consenso sociale che si alimenta
solo se le misure proposte hanno carattere generale e non
discriminatorio: l'azione di apertura dei mercati deve procedere in
tutte le direzioni.
In Italia, i settori che producono servizi al
riparo dalla concorrenza internazionale sono, sostanzialmente, tutti
i settori diversi dal manifatturiero (commercio, trasporti, credito e
assicurazioni, costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e
ristoranti, professioni) e rappresentano più del 50 per cento
del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di
concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è
relativamente basso. Vi sono, infatti, barriere all'entrata,
regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme d'impresa che
garantiscono alle imprese già presenti sul mercato un potere
che permette loro di applicare margini di profitto molto elevati
rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l'Italia il margine di
profitto medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento,
contro il 35 per cento nel resto dell'area dell'euro e il 17 per
cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla
concorrenza internazionale.
Obbiettivo del presente decreto è
quello di modificare questi rapporti, attraverso un intervento a
largo spettro sui settori interessati. A partire proprio da quelli
che coprono la metà del valore aggiunto nazionale. In
particolare, si pongono le premesse normative per attivare una
radicale riforma della regolazione delle attività economiche
che elimini la necessità di preventivi atti di assenso
all'avvio delle attività economiche e ridefinisca –
semplificandolo - il quadro dei requisiti necessari per il loro
svolgimento. Interventi che si inseriscono nel solco delle proposte
di modifica Costituzionale dell'art. 41, già presentate in
questa legislatura.
L'intervento dell'amministrazione è quindi
concepito in forma di controllo ex-post, per valorizzare al massimo
le iniziative imprenditoriali. Ed in questo quadro si inseriscono le
norme che cancellano le richieste di certificati da parte della
pubblica amministrazione.
Questa riforma punta ad eliminare ostacoli
ingiustificati nelle norme e nelle prassi amministrative. E vedrà
impegnati tutti i livelli di governo del Paese. Dal governo centrale
alle Regioni, agli enti locali. Con un ruolo attivo del governo nei
confronti delle Regioni inadempienti, come previsto dell'art.120
della Costituzione.
Il quadro economico internazionale, il livello del
debito pubblico, la crescita al rallentatore non consentono più
al Paese sacche di privilegi e rendite di posizione.
Il mercato deve riprendersi gli spazi per
troppo tempo limitati a causa della sedimentazione di questi
benefici, non più motivati. Per questo, il decreto contiene
misure tese ad allargare il perimetro dei mercati e a stimolare il
gioco della concorrenza. Con interventi sui i servizi professionali,
i servizi notarili; la distribuzione farmaceutica e i farmaci
generici; la distribuzione dei carburanti e della stampa; i mercati
elettrici e del gas; i servizi bancari e assicurativi; i servizi e le
infrastrutture di trasporto nei settori autostradale, ferroviario,
aeroportuale, portuale e nella mobilità urbana; i servizi
pubblici locali, a esclusione del servizio idrico; attività
turistiche su beni demaniali.
La crisi economica colpisce in modo particolare le
categorie meno protette. I giovani, innanzitutto. Per questo, vengono
introdotte misure per favorire l'accesso dei giovani alle attività
economiche, salvaguardando la qualità della formazione,
rimuovendo gli ostacoli per la costituzione di società a
responsabilità limitata. Sono, inoltre, stabilite nuove forme
di garanzie ulteriori per i consumatori: si rende più snella
la procedura della azione collettiva di classe e si attiva una forma
di controllo amministrativo sulle clausole vessatorie nei contratti
di massa.
Si tratta di un primo intervento ad ampio raggio che
è il frutto della convinzione di dover agire in tutte le
direzione, ovunque sia possibile inserire stimoli competitivi.
Dunque, è l'inizio di un lavoro, di una politica economica
orientata alla crescita.
Il presente decreto si pone, dunque, nel solco degli
interventi, in parte già delineati nella legislatura in corso
e ampiamente condivisi in ambito Parlamentare, per allineare il
nostro Paese alle best practices europee.
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