Debito Pubblico Italiano

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lunedì 23 dicembre 2013

Micro-USB come alimentazione obbligatoria in EU: Una minaccia alla libertà di progettazione ed evoluzione tecnologica e un potenziale pericolo


Francamente ci chiediamo a quando la misura degli organi genitali, delle mutande e della grandezza dei coperchi del WC ? E' davvero assurdo e incredibile l'ignoranza e l'arroganza del Politburo Europeo. La gente fa la fame, ma loro sprecano tempo e soldi dei contribuenti su sciocchezze come queste. Dopo le dimensioni delle melenzane e delle zucchine o il delirio sulla rimozione del browser standard Internet Explorer dal sistema operativo ( ne abbiamo parlato qui.... http://indipendenzaitaliana.blogspot.it/2010/03/lennesina-barzelletta-dellue-su.html ) ora anche il connettore unico micro USB per l'alimentazione.... L'articolo che citiamo in coda, la vede più o meno come cosa positiva noi no, se non pericolosa, e vi spieghiamo perchè. Non solo per gli sprechi nel riguardo, ma anche per ragioni tecniche oltre che economiche.

Prima di tutto il micro-USB si usa sui piccoli dispositivi, l'attacco più grande invece è più comodo e solido dove è possibile usarlo ad esempio fra Computer e stampante ecc.

L'USB nasce ed è progettato per il trasferimento dati e eventualmente per portare un po' di corrente a piccoli dispositivi. Ed è qui che sta il problema. Lo standard USB non è pensato per alimentare qualcosa di importante, ma solo piccoli dispositivi come il mouse o la tastiera. Le ditte più fantasiose ci hanno collegato delle piccole luci led ecc. o nel caso di tecnologie più evolute, degli HD da 2,5”, quelli che stanno nei portatili per intenderci. Ma la cosa si ferma qui. Qualsiasi altra applicazione richiede un alimentatore separato con una capacità di erogazione di corrente decisamente superiore. Senza contare che per caricare un dispositivo con un connettore USB bisognerebbe lasciare il computer acceso con annesso spreco energetico ( tanto per dire visto che la UE si preoccupa in modo ossessivo di queste cose e usa la questione sprechi come giustificazione... ).
Riuscendo a progettare invece batterie per dispositivi con alimentatori che richiedono minore correnti tipo l'USB, significa che a parità di carica, i tempi di ricarica crescono notevolmente.

Per quanto riguarda invece l'uso del solo connettore micro-USB fra alimentatore e dispositivo, è semplicemente sconsigliato ed è un'idea solo di alcuni costruttori per alimentazione d'emergenza pensata per i portatili, quindi cercando di dare una sorta di versatilità.
E' sconsigliato però fare uno standard del genere perché voltaggi e correnti variano da prodotto a prodotto e mettere quello sbagliato oltre ad essere pericoloso, in genere significa danneggiare il dispositivo, nel caso migliore la batteria. Chi carica un cellulare lo lascia lì per ore, magari di notte accanto o sul letto e farlo con il caricabatterie sbagliato significa andare incontro anche a pericolosi cortocircuiti. E' per questo che ci sono attacchi diversi, non è un vizio, ma un riscontro dell'esperienza ingegneristica per ridurre i casi di corto circuiti pericolosi ( vedi incendi domestici ) e danneggiamenti dei dispositivi come è già successo e succede nonostante tutto. Già gli alimentatori universali usano attacchi bipolari tondi di diametro diverso a seconda delle correnti. Anche questa non fu un vizio, ma un accorgimento tecnico onde ridurre i casi di incidenti e danneggiamenti involontari.

Si può fare un'unico standard di voltaggi e correnti per gli alimentatori di tutti i dispositivi mobili ? Probabilmente si, ma con sprechi notevoli. Basti pensare alla differenza di assorbimento fra un piccolo cellulare e un tablet quad core che ha pure uno schermo molto più grande e assorbe molto di più e ha infatti un alimentatore ben più grande. Se lo facessero quindi addio al comodo piccolo caricatore per il mio cellulare di più modeste dimensioni che sta pure in una tasca o una borsetta.
Perchè ? Perchè le leggi fisiche richiedono che gli avvolgimenti di rame negli alimentatori abbiano determinate dimensioni a seconda della “trasformazione” del voltaggio di rete in quello da erogare per il dispositivo.

Ma allora si può fare con componenti elettronici ? Certo ma con grande spreco anche energetico e negli smaltimenti e quindi con costi ben maggiori. E' per questo che l'industria, e il mercato quindi, solitamente in buona parte continua a realizzare alimentatori con avvolgimenti di rame appositamente progettati.

La limitazione della libertà ingegneristica mina pesantemente quindi anche la libertà dei consumatori e l'evoluzione tecnologica. In un contesto di libertà di evoluzione tecnologica infatti il micro-USB 2.0 "fra poco" sarà preistoria.. Pensate se avessero fissato per legge anche la capacità degli alimentatori per PC. Probabilmente non avremo mai conosciuto i sistemi di calcolo parallelo Quad Core insieme a Schede Grafiche di ultima generazione che richiedono alimentatori più potenti pur restando nello stesso standard industriale. E ogni utente è libero di configurare il proprio computer con gli alimentatori di cui ha bisogno. Certe cose quindi le stabiliscono gli standard industriali e la libertà dei consumatori che premia quello che ritiene migliore, non è un compito del legislatore che compie semplicemente un ingerenza e un abuso.

Per quanto riguarda invece il discorso economico, esistono già ditte che producono a costi irrisori alimentatori di concorrenza. E per altro non sempre di buona fattura, come dimostrano gli alimentatori ( solitamente cinesi ) andati a fuoco, fra cui negli ultimi tempi a onor del vero anche dei caricatori Apple fatti in modo simile. E naturalmente potete pure aspettarvi tranquillamente che il costo dei mancati guadagni sugli alimentatori si ripercuoterà inevitabilmente su un aumento generalizzato dei prezzi dei prodotti dei dispositivi mobili, in un modo o nell'altro.

E' curioso poi come si metta in mezzo il discorso degli smaltimenti. La stessa EU, e global governance visto che in seguito è giunto pure negli USA, nel merito ad esempio ha vietato le comuni lampadine a tungsteno fatte di comune vetro, un po' di ferro e un filamento di tungsteno, per le lampade cosìdette a risparmio energetico, che sono dispositivi elettronici veri e propri molto più complessi da costruire ( con annessa richiesta di energia ed emissione di CO2 ) e vanno smaltiti come rifiuti speciali in quanto contengono sostanze inquinanti al contrario delle comuni lampadine che posso essere buttate nella spazzatura ordinaria.

La nostra opinione è che qualche vecchio burocrate viziato con poca dimestichezza con la tecnologia si sia forse avventurato per capriccio su queste dubbie scelte in stile soviet. Ed è interessante notare quanto le lamentele dei cittadini Europei somiglino terribilmente ogni giorno di più a quelle dei cittadini nel blocco sovietico contro la burocrazia politica, le tasse e relativa oppressione ecc. fra poco arriveremo anche alle file per il pane. Benvenuti in EUSSR !

Possiamo solo sperare in una smentita e in uno smantellamento e riforma basilare di questa UE sempre più inutile e costosa verso una realtà Europea più libera e realmente unita nella propria libera diversità... nel frattempo Buon Natale a tutti e se non ci si “sente” prima Felice 2014 !

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lunedì 16 dicembre 2013

Boston Tea Party: 16 Marzo 1773

Le vere ragioni

Nella notte del 16 Marzo 1773 dopo mesi e anni di crescenti attriti fra i coloni Americani e la corona inglese di Re Giorgio, un gruppo di giovani Patrioti Americani travestiti da indiani, a meno che vi fosse davvero qualche indiano, dopo essere entrati di nascosto nel porto di Boston salirono sulle navi inglesi e iniziarono a gettare a mare l'ingente carico di Thè lì stazionato come protesta contro le politiche del governo inglese. L'evento passò alla storia come Rivoltà del Thè e il movimento patriottico a loro collegato che organizzò l'evento fu indentificato come Boston Tea Party. Ma perché si arrivò a questo e cosa significava per i coloni americani il thè inglese ?

Le ragioni erano molteplici, negli ultimi anni la corona inglese indebitata con la banca d'Inghilterra, aveva progressivamente scaricato sui coloni i relativi costi sostenuti durante la guerra contro i Francesi in Canada per cui si era indebitata, tramite la leva fiscale e una serie di tasse, alcune delle quali oggi purtroppo vengono accettate con sin troppa disinvoltura. D'altra parte però i coloni ribattevano giustamente che quella guerra l'avevano combattuta e vinta loro in primis e che la corona non poteva vantare altri diritti calpestando i loro e rendendoli servi inglesi de facto.

La causa scatenante di questa particolare protesta però, non furono le tasse sul thè di per sé come vuole il mito popolare, ma fu fondamentalmente un'altra, ossia la progressiva egemonia commerciale della Compagnia dell'Indie Orientali di proprietà Britannica che importava il thè dalla Cina in Inghilterra come monopolista. Da qui altre imprese lo acquistavano per poi trasportarlo nuovamente in America dove veniva venduto ai distributori e commercianti locali. Al tempo stesso il governo inglese varò nel 1721 un atto che imponeva a tutte le sue colonie di comprare il thè solo dall'Inghilterra. Nel 1767 invece per aiutare la compagnia delle Indie a battere il Thè Olandese di contrabbando, passò l'Indemnity Act che abbassava le tasse sul thè venduto in Inghilterra e consentiva un parziale rimborso alla Compagnia delle Indie per il piccolo dazio all'importazione in America.

Vantandosi quindi della sua enorme dimensione internazionale la Compagnia conduceva politiche mercantilistiche mettendo in crisi la produttività locale americana e abbassando i prezzi nonostante il pagamento delle tasse locali in America.

Gli Americani e i coloni videro sempre di più nella Compagnia delle Indie una minaccia e un tentativo per distruggere l'economia e la produzione locale, quale quella avviata appunto da John Hancock e Samuel Adams che commerciavano Thè. Alla fine l'Indemnity Act piuttosto che risolvere il problema del contrabbando, sollevò invero la questione sul diritto del parlamento di tassare i coloni.

La protesta del Boston Tea Party verteva quindi su due questioni di fondo, i problemi finanziari ed economici riguardanti la Compagnia delle Indie Britannica, e la disputa in corso circa l'estensione della sovranità del parlamento sulle colonie Americane Inglesi, tenendo conto anche del fatto che non vi erano rappresentanti eletti dai coloni americani nel parlamento inglese, da cui il famoso motto “No Taxation without rappresentation” ossia “No alla Tassazione senza rappresentanza”.

I coloni Americani erano molto risentiti dai trattamenti di favore verso la Compagnia delle Indie, che vantava al suo interno lobbisti e quindi con gran potere di influenza sul Parlamento. Tale dissenso stava sempre più venendo in superficie in questo particolare periodo storico. Proteste dei coloni ci furono anche in entrambe le città di Philadelphia e New York, ma fu il Boston Tea Party ad entrare nella storia. Fu in questo periodo che John Hancock organizzò il boicottaggio del thè Cinese importato dalla Compagnia delle Indie portandola entro il 1773 ad avere enormi debiti e grandi quantità di thè stoccato nei magazzini. Thè che difficilmente sarebbero riusciti a vendere dal momento che persone come lo stesso Hancock e Samuel Adams presero a contrabbandarlo dall'Olanda agirando la famosa tassa sul thè di importazione nel tentativo di competere contro la Compagnia delle Indie.

Per pronta risposta il parlamento inglese varò il Tea Act, che permetteva in pratica alla Compagnia delle Indie di vendere direttamente ai Coloni senza “passare” da Londra e quindi di non pagare le tasse sul thè, pagando solo il piccolo e modesto dazio ai porti coloniali Americani. Tale mossa permise alla Compagnia di vendere il thè a prezzi più bassi dei mercanti coloniali e persino dei contrabbandieri.
Essa fu vista dai Bostoniani con sospetto e interpretata semplicemente come il tentativo del parlamento inglese di distruggere l'economia americana. E sarà proprio Samuel Adams, ricco contrabbandiere e commerciante, ad organizzare atti piuttosto forti contro gli agenti e destinatari dei carichi della Compagnia delle Indie invitandoli a desistere dalle loro posizioni cosa su cui esitarono quando terrorizzati al seguito di attacchi presso i loro magazzini e persino alle loro case.

La realtà dei fatti fu quindi che il Tea Act abbassò le tasse sulla maggioranza del thè in commercio, ossia quello importato dalla Compagnia. Lo scopo era riuscire a piazzare ingenti quantità di thè della Compagnia nel mercato coloniale Americano, vendendo la merce in stock della compagnia che oltre al boicottaggio di Hancock soffrì in quegli anni anche di una crisi finanziaria a causa di cattivi investimenti in Europa a cui seguì il salvataggio ( baylout ) da parte della corona inglese che ora si trovava di fronte la necessità di vendere gli stock di magazzino.

 La posizione dominante della Compagnia delle Indie con l'abbassamento delle tasse gli permise nuovamente e definitivamente di dominare e monopolizzare il mercato locale Americano, riuscendo a competere contro ogni singolo importatore e commerciante locale di Thè prendendo così de facto il controllo dell'economia coloniale. Tale stato portò i coloni di mentalità indipendentista ad infuriarsi sempre di più per il fatto che le loro colonie fossero sfruttate come centro di profitto della corporazione multinazionale della Compagnie delle Indie. L'interpretazione storica che si può dare è che il Boston Tea Party fu proprio una protesta contro questo stato di cose, in cui le piccole e medie imprese locali erano schiacciate dal mercantilismo internazionalista, forti anche del fatto che loro dovevano pagare tasse che la East Company non doveva più, per quanto come spiegavamo poc'anzi, neppure il contrabbando riusciva a competerci.. tasse sulle quali come detto prima, loro non avevano parola. Samuel Adams dirà “Se il nostro commercio può essere tassato, perchè non le nostre terre, insomma, ogni cosa che abbiamo ? Ci tassano senza avere una rappresentanza legale”.


Invero il Tea Act, come ammesso negli stessi documenti inglesi, non fu altro che un tentativo da parte del ministro Lord North, di rendere più commerciale il thè inglese in America e vendere così rapidamente 17milioni di pounds di thè stoccati in Inghilterra... qualcuno arrivò ad osservare che magari abbassarne le tasse avrebbe anche fatto più contenti i coloni...

Per capire bene il risentimento dei coloni contro il governo inglese e Re Giorgio III°, bisogna considerare tutta una serie di pratiche per così dire, scorrette contro le colonie. Negli anni precedenti le 13 colonie furono oggetto di varie tassazioni, ufficialmente per il rimborso dei costi della guerra contro i Francesi. Fra esse abbiamo lo Sugar Act del 1764, che tassava zucchero, caffè e vino, prodotti tipici e di nicchia delle Americhe sempre più ricercati; lo Stamp Act nel 1765 che tassava tutto il materiale stampato dai giornati alle carte da gioco e i Townshend Acts del 1767 che tassavano oggetti come bicchieri, dipinti, carta e Thè. Il Tea Act del 1773 fu l'ultima goccia che fece traboccare il vaso. L'opposizione politica e i boicottaggi economici portarono infine all'abolizione dello Stamp Act e dei Townshends Acts, lasciando però la tassa sull'importazione di Thè come simbolo di autorità.

Gli atti del governo inglese servirono come abbiamo visto anche a favorire la Compagnia delle Indie sul punto della bancarotta a causa di corruzione, cattiva amministrazione e competizione e che da parte sua si configurava come “troppo grande per fallire” legando il destino dell'impero Britannico al proprio. Dopotutto l'impero inglese aveva costruito l'economia globalizzata britannica grazie a realtà come la Compagnia delle Indie. Il commercio sleale inglese però finì per rivitalizzare la questione della tassazione senza rappresentanza animando i moti di protesta e dissenso nelle colonie.

Tra il Settembre e l'Ottobre del 1773 sette navi con a bordo il thè della Compagnia delle Indie salparono verso le colonie Americane: 4 erano dirette a Boston, e rispettivamente 1 per New York, Philadelphia e Charleston. Gli Americani seppero del Tea Act mentre le navi erano in viaggio e la protesta cominciò a crescere. 
I Figli della Libertà, come si facevano a volte chiamare i padri fondatori, patrioti e guide dei movimenti di protesta, cominciarono una campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica e convincere o costringere i destinatari delle merci della Compagnia a rinunciare e rendere il carico, in modo simile a come i distributori della stampa furono costretti a scioperare durante la crisi dello Stamp Act del 1765.

Il movimento di protesta culminato con il Boston Tea Party non fu quindi tanto una disputa per le “alte” tasse. Il prezzo, e le tasse, del thè legalmente importato era stato ridotto grazie al Tea Act del 1773. Tuttavia c'erano ben altre questioni ad animare il movimento di protesta al di là dei molti miti intorno questo singolare e forte evento. Il solo motto famoso “No Taxation without reppresentation” che apre alla questione del diritto del Parlamento di tassare i coloni, è una delle questioni principali. Altri vedevano il favoreggiamento verso certe realtà governative inglesi o filo governative inglesi fuori dalla sfera di influenza dei governi coloniali come un'infrazione ai diritti coloniali e quindi una lesione della libertà dei cittadini coloniali. E questo fu particolarmente vero per quanto riguarda il Massachussets la sola colonia dove il programma del Townshend fu pienamente implementato.

Certamente i mercanti coloniali, dei quali alcuni contrabbandieri, hanno giocato un ruolo fondamentale nelle proteste. Poiché il Tea Act rendeva più economico e conveniente il thè importato legalmente dalla East Indian Company, i contrabbandieri di Thè Olandese rischiavano di finire fuori dagli affari. E naturalmente questo valeva anche per gli importatori legali di thè non affiliati alla Compagnia e che rischiavano la bancarotta a causa dell'egemonia commerciale e concorrenza sleale di quest'ultima. E naturalmente il timore era che questo tipo di politiche monopolistiche mercantilistiche dal The potessero estendersi praticamente a qualsiasi altra cosa, sulla falsariga di quanto si era cercato di fare con i vari tipi di tassazione introdotte. Cosa che indusse sempre più in allarme i mercanti coloniali conservatori che furono indotti ad unirsi ai Patrioti più radicali.

A Sud di Boston, i manifestanti riuscirono con successo a far annullare gli ordini. I mercanti accettarono di non vendere il thè e gli agenti e ufficiali del thè a New York, Philadelphia e Charleston cancellarono i loro ordini o rinunciarono alle loro commissioni.
A Charleston, i destinatari furono costretti a lasciare il thè che non reclamato fu confiscato dagli agenti della dogana. Ci furono proteste di massa a Philadelphia e in seguito i destinatari di Philadelphia resero il carico la cui nave ritornò piena in Inghilterra.

La nave diretta a New York ritardò per il cattivo tempo; per quando arrivò i destinatari avevano reso il carico e la nave ritornò in Inghilterra con il thè.

A Boston invece i commercanti destinatari del thè della Compagnia erano amici del governatore Hutchinson, determinato a far rispettare la legge. L'opposizione guidata da Samuel e John Adams, Josiah Quincy e John Hancock, era invece determinata a resistere alla supremazia del Parlamento Londinese sulla legislazione coloniale.

Le tre navi da Londra, la Dartmouth, la Eleanor e la Beaver dovevano ancorare nel porto di Boston dal 28 Novembre all'8 Dicembre 1773. Caricate con il thè della Compagnia erano tutte ancorate presso il Griffin's Wharf ( Molo di Griffin ), ma gli fu impedito di scaricare la merce.


Quando la prima nave giunse a Boston con il carico di thè, i Figli della Libertà, impedirono al capitano Francis Roth di scaricare il thè, ma non poterono costringere i destinatari a rifiutare la spedizione. Rotch e i capitani delle due nuove navi, la Eleanor e la Beaver, accettarono di andare via senza scaricare il thè, ma gli fu negato il permesso dal Governatore Hutchinson.

In base alla legge vigente se il thè non veniva scaricato entro 20 giorni ( ossia entro il 17 Dicembre ), esso poteva essere confiscato dalle autorità e messo all'asta per ripagare i diritti doganali. Convinti che tale procedura avrebbe ancora costituito un pagamento di tasse incostituzionali, nonché avrebbe continuato a minare gli interessi dei mercanti, commercianti e produttori locali, i Patrioti decisero di rompere lo stallo. Il 14 Dicembre a ridosso di assembramenti di massa, Rotch chiese nuovamente il permesso di salpare da Boston. Ma né l'ufficiale doganale, né il governatore glielo concessero.

Temendo che il thè fosse quindi sequestrato per il pagamento dei diritti doganali e eventualmente quindi rimesso sul mercato, qualcosa doveva essere fatto. Chiedendo che il thè ritornasse indietro o fosse reso, i Figli della Libertà, guidati da Samuel Adams iniziarono ad incontrarsi per decidere sul da farsi e così quindi il destino delle 3 navi ancorate nel porto di Boston.




In una fredda sera del 16 Dicembre 1773, una grande folla assembrata a ridosso del molo applaudiva ed incitava 60 uomini vestiti da Indiani Mohawk. Il gruppo di Patrioti di Boston, proveniva dalla South Meeting House con lo Spirito della Libertà che ardeva nei loro occhi. SI diressero verso il molo di Griffin e le 3 navi. Salirono in silenzio, velocemente e iniziarono ad aprire i cesti del thè con asce e accette.

In quella fredda notte, il suono delle asce contro le casse di legno riecheggiava per il porto di Boston. Una volta aperte, i patrioti iniziarono a buttare il the a mare. Entro le nove di sera, i Figli della Libertà, con l'aiuto dell'equipaggio della nave, svuotarono 342 casse di thè nel porto di Boston. Temendo ogni collegamento con atti di tradimento, i patrioti si tolsero le scarpe nel salire sul ponte e fecero verificare al primo ufficiale della nave che solo il carico di thè era stato danneggiato e non le navi.

La Corona inglese, furiosa risposte a questo “Boston Tea Party” con i cosìdetti Intolerable Acts del 1774, eliminando praticamente il governo del Massachussets e chiudendo il porto di Boston.

Le notizie sulla distruzione del thè alimentarono lo spirito di resistenza delle colonie. Il 22 Aprile del 1774 il tentativo di Londra di scaricare il thè a New York si risolve in una folla che salì sulla nave e distrusse il carico. Incidenti simili successero anche ad Annapolis, Md., il 19 Ottobre e a Greenwich, N.J., il 22 Dicembre da cui in poi il the fu boicottato in tutte le colonie.

Naturalmente chi scrive non ha mai espresso preconcetti contro le multinazionali in sé, ma contro certe politiche corporativiste e mercantiliste simili al caso di Boston nei quali erano impossibilitati a competere contro un gigante come la East Indian Company mettendo in crisi l'economia locale, ieri come oggi, si è da criticare e continueremo a farlo.

Sotto tale visione alcuni vedono il Boston Tea Party somigliare sotto vari aspetti alle proteste crescenti dei giorni nostri contro le corporazioni internazionali, i movimenti critici della globalizzazione e i tentativi delle piccole città di proteggere se stessi dai rivenditori delle grandi catene o le corporazioni agricole. O detta in altre parole si può vedere il Boston Tea Party protestare contro le azioni della multinazionale Compagnia delle Indie e contro il governo che curava di più gli interessi di tali compagnie piuttosto che quello dei cittadini.

Una questione quella dell'Indipendenza e Libertà contro l'egemonia estera che viene chiamata in causa ancora di più proprio in questi tempi dove la produzione locale e l'indipendenza nazionale è sempre più messa in crisi proprio da politiche neo-mercantilistiche condotte in particolar modo dalle economie asiatiche che sul mercantilismo grazie anche a manodopera di gran lunga sottopagata, fanno muovere la loro economia nell'ambito dei cosìdetti accordi di “free” trade, ossia libero scambio internazionale.

E difatti il Tea Party USA, e non solo, e quindi anche noi, si è generalmente contrari e critici verso tali politiche che stanno mettendo ovviamente in crisi l'intera economia Occidentale. Non quindi solo un problema Italiano a cui si sommano altri problemi locali della classe dirigente e del debito pubblico, ma bensì un problema globale in cui si confrontano politiche mercantilistiche da un lato e meccanismo della riserva monetaria dall'altro, l'unico modo per cercare di coniugare questo tipo di mercato globale. Una modalità sicuramente criticabile ma che merita ulteriore e separato approfondimento per capire meglio i meccanismi di base dell'economia internazionale odierna e i problemi degli squilibri e sbilanciamenti economici che raramente vengono percepiti pienamente dalla cittadinanza, specialmente in Italia incluso tanti, troppi cosìdetti liberali.

Le rivolte del thè portarono coscienza su questioni come indipendenza e libertà contro le egemonie commerciali estere e governi oppressivi che ledono la libertà e i diritti inalienabili dell'uomo. I vari movimenti di protesta seppure forti non costituivano ancora una forza rivoluzionaria, anche se tuttavia una frattura fra gli inglesi coloniali in America e gli inglesi d'Europa s'andava sempre più delineando. Fu tuttavia la reazione del governo inglese contro le colonie incluso il tentativo di disarmo dei Patrioti nella contrada di Lexinton e la successiva battaglia presso il ponte di Concorde ad accendere la scintilla della Rivoluzione Americana, ma su questa vicenda vi rimandiamo ad un prossimo articolo.

Per il momento ci limitiamo ad unirci al Boston Tea Party e sulla falsariga di quanto di recente ha fatto Coldiretti presso il confine Italiano sul Brennero bloccando e denunciando le merci di importazione “sleale”, invitiamo anche noi a “gettare a mare” il thè inglese. 

Tanti auguri Boston Tea Party ! Che Dio Benedica gli Stati Uniti d'America !