Era solo lo scorso
Luglio 2011, quando per l'ennesima volta Ikea, multinazionale
Svedese del mobile low cost made in China, si vedeva ostacolata nel
continuare ad aprire punti vendita in Italia. Prima la Toscana, poi
Torino e così via. Molti, anche Ikea, sbraitavano sugli investimenti
persi dei supermercati e posti di lavoro mancati di qualche centinaio
di dipendenti ( circa 250 ) per punto vendita, altri invece
giustamente pensavano a quelli molti di più persi in termini di
produttività, occupazione e ricchezza effettiva che finiva in Cina,
e al massimo in Svezia ( patria di origine di Ikea ), lasciando
povertà e migliaia di disoccupati, milioni se consideriamo gli
effetti della crisi in Europa a causa di tale fenomeno in generale,
60 milioni circa per essere più precisi....
E' evidente che Ikea
non sposti alcune produzioni in Italia per buonismo, ma perché
“qualcuno” ha iniziato a fare una politica migliore più
protezionista, rifiutando o creando ostacoli ad aziende come Ikea che
fabbricano in Cina e vendendo qui a danno di un importante settore
produttivo italiano, un fenomeno in crescita nel nostro paese, come
infatti successo nei casi a cui prima accennavamo, del resto se il
governo centrale è inutile è bene che il territorio si organizzi da
solo tramite le autorità e amministrazioni locali; inoltre la gente,
almeno in parte, sta iniziando a capire che deve favorire il made in
casa nostra se vogliamo salvarci, senza contare la qualità maggiore
rispetto la Cina altro punto nodale.
C'è inoltre anche un fenomeno di riallineamento dei costi, incluso i trasporti, che non rende più la Cina poi così appetibile come un tempo, questo almeno da parte Americana dove si è iniziato a parlarne.
Fatto sta che abbiamo
urgente bisogno di una politica più protezionista, ci stiamo
deindustrializzando e subiamo già dumping e guerra commerciale da
alcune economie emergenti, Cina in testa.
Ikea in altre parole
viene in Italia per una ragione simile al motivo per cui altre
aziende come Fiat vanno a produrre in Brasile che ha dazi
sull'importazione di auto del 30% ( il mercato brasiliano è
importante per Fiat ), oppure perchè RIM va a produrre in Argentina,
ossia la necessità di produzione in loco per avere accesso a tale
mercato a causa di barriere doganali, comuni all'intera area
Mercosur, nel nostro caso saggiamente poste per vie traverse da
amministrazioni locali, barriere necessarie a causa della diversità
delle varie economie nazionali nel mondo, e i forti squilibri della
globalizzazione che continuano ad alimentare la crisi economica,
senza contare l'assenza di una vera forma di governo globale. Una
banalità eppure.... insomma c'è davvero da fare i complimenti ai
presidenti delle Regioni Toscana e Piemonte, Enrico Rossi (Pd) e
Alberto Cota (Lega Nord), che hanno lavorando ufficialmente per
trovare “una soluzione alternativa”. Naturalmente sappiamo tutti
com'è andata ed è questo il successo di una politica protezionista,
( ovviamente è sottinteso moderatamente protezionista ) diretta da
sagge presidenze regionali.
Il mercato Italiano è
del resto un mercato particolarmente appetibile per la
multinazionale svedese che nell'anno fiscale 2010/2011 ha fatturato
in Italia 1,64 miliardi di euro ( +6,5 rispetto ai 12 mesi
precedenti), pari al 6,6% del fatturato globale del gruppo ( 24, 7
miliardi di euro ).
Il discorso è quindi
banale, vuoi ancora accedere a questo mercato ? Vuoi espanderti in
questo mercato ? Benissimo vieni a produrre qui, investi
concretamente. Dopotutto almeno per quanto riguarda la Lega Nord in
persone come Cota, ma non solo, non si è nuovi a politiche
economiche di successo nelle trattative con le grandi aziende, e
questo al di là di tutte le polemiche di questi giorni sulla Lega
Nord ove giustamente espresse; ma per carità non buttiamo via il
bambino con l'acqua sporca. Il protezionismo ( intendiamo sempre
moderato, ossia non isolazionismo ) funziona e, come se poi ce ne
fosse bisogno, questa è la prova evidente davanti ai nostri occhi.
In altre parole fare politica economica funziona, piuttosto che
rimanere a guardare, laisser faire, criticato anche ma non solo, è
bene dirlo, da Friedrich August von Hayek economista
austriaco/britannico paladino del libero mercato, ma non del laisser
faire tipico del free trade ( libero scambio internazionale ).
Unica perplessità il
vantato, da Ikea, prezzo concorrenziale delle ditte fornitrici
Piemontesi; difficile stimare al momento sino a che punto considerare
la cosa veritiera, quanto non piuttosto un effetto della minore
convenienza di lavorazione in Cina, per qualsivoglia ragione..... Si
perchè è questo il punto, la Cina è risultata meno appetibile
perchè aumentati i costi, siano essi dovuti al costo del lavoro, del
trasporto o di dazi doganali che vanno a riallineare l'offerta sul
mercato interno in Italia, di fondo cambia poco. La produttività in
Piemonte è in ogni caso un successo delle politiche protezioniste
come visto e certamente una politica protezionista più decisa e
ferma da parte del governo centrale avrebbe fatto spuntare alle
nostre aziende commesse ancora più convenienti e del tutto
accettabili dalla multinazionale che ha tutto l'interesse a
continuare ad investire in tale mercato. Peraltro tipico esempio gli
USA che pur sono sempre stati piuttosto protezionisti specie prima
della WTO, un forte liberismo interno garantisce in egual modo
competizione, libero mercato nazionale e progresso.
Così alla fine mentre
gli inutili e costosissimi burocrati Europei sbraitano contro il
protezionismo Brasiliano, l'Eurozona cola a picco come risultato
dell'affossamento della nostra economia, mentre le economie emergenti
come il protezionista Brasile o la Cina e altri, crescono. Certo, le
difficoltà cui va incontro la Cina testimoniano dello scontro con il
forte socialismo interno e problemi di risorse, mentre il governo
Brasiliano invece si allea con le libere industrie Brasiliane e rulla
come un treno, favorendo anche l'emigrazione di manodopera
specializzata dall'Europa verso il Brasile: il protezionismo
funziona, ma questo lo sapevamo già, secoli di storia economica
ce lo testimoniano, così come ci testimoniano delle politiche
colonialiste dei fautori del cosìdetto “free trade”, peccato che
i Brics e il Nord Africa non ci stiano a fare le colonie o solo gli
agricoltori.
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