Austerity o Default ?
Essenzialmente le
elezioni 2013 si giocano su questi due concetti. Su questi due
concetti si divide fondamentalmente la seguente analisi
sull'Austerity e il Default o meglio rinegoziazione del debito
pubblico in connessione con la permanenza o meno nell'Euro.
L'articolo è diviso in 5 parti:
- Austerity
- La Germania e l'Austerity
- Permanenza o uscita dall'Euro ?
- Default e Rinegoziazione
- Conclusioni
1) AUSTERITY
La persistenza di
squilibri economici e problematiche delle banche centrali al
seguito del crollo del sistema monetario internazionale di Bretton
Woods, hanno portato prima ad una forte deregolamentazione dei
mercati finanziari e in seguito all'economia del debito e la
cosidetta finanza creativa, in particolare negli ultimi 15 anni, come
voluta scelta per cercare di “colmare” i grossi vuoti e squilibri
economici provocati dalle politiche di globalizzazione e free trade
globale che, come più volte abbiamo trattato in passato, hanno in
sostanza drenato la ricchezza economica dall'Occidente verso la Cina
e i BRICS ( Economie emergenti ), mentre la deregolamentazione
esasperata nel mercato dei derivati e nella speculazione monetaria,
tipo Forex, ha reso il mercato e l'economia debole e distorta
rispetto il suo reale valore industriale, aprendo peraltro il sistema
monetario internazionale ora basato su cambi fluttuanti, alla guerra
valutaria. Bisogna tenere presente che la guerra valutaria non si fa
solo svalutando la propria moneta oltre il valore di mercato, ma
anche investendo liquidità sui mercati esteri per attaccare un'altra
moneta, spingendola generalmente verso il rialzo favorendo così le
proprie esportazioni a danno dell'economia “attaccata”. Questa
dinamica può anche però essere sfruttata a proprio vantaggio,
seppure con rischi potenziali non da poco, come fanno gli USA con la
Cina che ha interesse a sostenere il dollaro per reggere le proprie
esportazioni verso gli Stati Uniti, oltre che valorizzare le proprie
riserve in dollari, costituendo una volontaria politica di legame fra
le due potenze.
In ogni caso
permangono squilibri macroeconomici notevoli, ossia per essere
più tecnici vi sono squilibri economici notevoli fra la spesa ( USA
) e il risparmio ( Cina ) che derivano prettamente dall'ingente
deficit commerciale degli USA superiore ai 700 miliardi di dollari e
dei paesi industrializzati nei confronti della Cina in Surplus e che
porta quindi ad avere deficit ( USA ) e surplus ( Cina ) nella spesa
corrente.
Una fase questa in cui in
Occidente diminuisce il potere di acquisto e quindi diminuisce la
forza economica della moneta la cui economia tende a divenire un
castello di carte e non più una struttura e architettura solida
basata sul patrimonio industriale e produttivo i cui capitali invece
delocalizzano.
Il Credit Crunch
essenzialmente proviene da questi fenomeni, in primis soldi che
dall'economia locale finiscono con la produttività, l'industria e
quindi l'occupazione in asia and co a causa di forti squilibri
economici, accentuati certamente da concorrenza sleale e accordi free
trade che assecondano tale deriva economica lasciando il vuoto o il
debito importato nel sistema bancario e finanziario occidentale.
Secondo c'è una
sovrastruttura di debiti puramente speculativi, che costituisce
l'economia del debito, ossia titoli basati su debiti o crediti su
ipotetici guadagni futuri e che naturalmente non si riesce più a
pagare/realizzare e che in altre parole sono investimenti sbagliati,
vedi ad esempio investimenti in derivati di vario tipo come futures
ecc.. che grazie alla deregolamentazione sul mercato dei derivati,
vengono pure rimessi in garanzia per ottenere altri debiti e ottenere
altri crediti, un po' come le scatole cinesi del debito. Questo
esemplificando molto il discorso, ma in sostanza alla fine è quello
che si ha.
Sia chiaro che futures e
altri derivati sono strumenti legittimi di investimento ad alto
rischio per Hedge Funds o singoli investitori, ma appunto è
insensato basarci l'architettura e gli assets di strutture pubbliche,
come comuni e stati o come il capitale fondante e strutturale di una
banca, assicurazione ecc..
Infatti una vecchia
massima del buon trader insegna che i soldi investiti devono essere
soldi che siamo disposti a perdere, che in poche parole non ci
servono per mangiare, pagare l'affitto o gestire il funzionamento
della nostra attività. E' evidente che si è perso molto di questa
vecchia perla di saggezza del grande capitalismo di libero mercato
occidentale, nel momento in cui si prendono i soldi dei conti
correnti, delle pensioni o delle assicurazioni sanitarie e si
investono in borsa come su una roulette da gioco, tanto più poi
perché dopotutto sono “troppo grandi per fallire”.
Personalmente chi
scrive ritiene che il buon senso si sia iniziato a perdere con
l'abolizione dello Steagall-Act, ossia la separazione fra banche e
attività di investimenti finanziari e banche per la gestione di
conti correnti e credito per imprese e cittadini. Nel merito
rimandiamo ad un'estratto tratto da “La Crisi non è finita” di
Nouriel Roubini e Stephen Mihm (Serie Bianca Feltrinelli), che spiega
molto bene come e quanto la mancata separazione fra attività di
investimento e altre attività di credito e assicurazione, abbia
finito per indebolire notevolmente l'architettura finanziaria
occidentale, soprattutto aggiungiamo, nel momento in cui si apre alla
globalizzazione con Cina and co. Per semplicità al momento
rimandiamo a questo link:
2) La Germania e
l'Austerity
L'Austerity è anche la
linea del governo Merkel che scalzata dalla Cina come esportatore
globale, forte dell'Euro proietta le sue esportazioni e purtroppo
anche il suo debito su tutta l'Eurozona.
E' con Schroeder prima e
Merkel poi, che la Germania risolve i suoi problemi di competizione
globale attraverso l'egemonizzazione dell'eurozona e tramite
l'aumento della spesa pubblica a sostegno delle aziende e lavoratori
tedeschi, grazie al surplus nella bilancia commerciale che porta un
surplus nel bilancio della spesa corrente. Bisogna capire che la
Germania può fare questo grazie all'Euro, che però finisce sempre
più per essere una vera e propria morsa valutaria posta intorno al
collo degli altri membri dell'Eurozona.
Naturalmente le altre
economie Europee non sono del tutto come quella tedesca ahimè, e
quindi si ha che nel momento in cui l'export tedesco predomina, ecco
che le altre economie europee si svalutano. A fronte di questo
indebolimento, la Germania invece di investire sull'economia e sulla
produttività europea, decide invece di investire sui titoli di stato
di questi paesi a sostegno della necessaria spesa di sostegno sociale
e dell'appoggio politico, contribuendo però all'indebolimento
strutturale delle economie periferiche dell'Europa e di conseguenza
ad un aumento del loro indebitamento.
Di opinione simile è
infatti anche uno studio di Morgan Stanley pubblicato il 17
gennaio dal quale traspare la trappola costituita dall'Euro per le
altre nazioni Europee. E che il vantaggio non sia da attribuire solo
alle riforme che la Germania pone in atto dai primi anni '90, quanto
piuttosto alla cattiva politica tedesca in Europa è evidenziato non
solo dagli Italiani, ma anche da analisti tedeschi di rilievo quali
ad esempio Wolfgang Münchau, editorialista del Financial
Times che fece piuttosto innervosire Mario Monti per le sue critiche.
Munchau che evidenzia queste cose da anni, pone l'esempio delle
riforme pensionistiche italiane che dopo Dini e Maroni è
riconosciuto come uno dei più sostenibili al mondo e che se fosse
solo per questo l'Italia dovrebbe quindi essere al primo posto.
In realtà la Germania
pose le riforme e una parte dell'investimento del surplus di spesa
come dicevamo per sostenere le aziende e i lavoratori e quindi
diminuire così il costo per unità di prodotto. Ma come osserva
Munchau, questo costituisce un vantaggio solo se è un paese a farlo
e gli altri no. Per cui se si seguissero i consigli della Merkel
sulla diminuzione del costo per unità di prodotto, non faremo altro
che tornare al punto di partenza permanendo la supremazia commerciale
della Cina. Sarà anche per questo che recentemente alla fine a denti
stretti, anche il governo Merkel ha finalmente aggiunto che il
problema vero non è la Grecia, ma la Cina.
Me è Jörg Bibow,
economista tedesco e docente al Levy Economics Institute del Bard
College di New York a criticare fortemente e più duramente il
governo di Berlino in un recente studio del maggio scorso in cui
denuncia come sia stata la Germania stessa sin dall'inizio a porre le
basi per la deflagrazione dell'Euro accusando i tedeschi nientemeno
che di indisciplina.
Come spiega nel suo
studio “The Euro debt crisis and Germany's Euro Trilemma” l'euro
doveva essere il culmine di 60 anni di cooperazione economica,
mettendo da parte la competizione basata sulla modifica dei tassi di
cambio. Con l'introduzione dell'Euro però la competizione fra
nazioni europee è passata dai tassi di cambio al costo del lavoro e
al tasso di inflazione, concretizzando la svalutazione delle economie
della periferia Europea.
Furono infatti per primi
i tedeschi a violare il trattato di Maastrich sin dal 1996 quando
attuarono una politica di contrazione dal 2% circa stipulato dal
trattato sino a quasi lo 0% di inflazione, ponendo così le basi per
la futura destabilizzazione dell'Unione rappresentata da una perdita
di competitività degli altri paesi comparabile ad una svalutazione
del 20%.
«La regola aurea di una
unione monetaria richiede che le tendenze nei costi per unità di
prodotto nazionali stiano in linea con il tasso di inflazione comune
al quale i membri dell’Unione si sono impegnati, ma questa è stata
violata», tuona Bibow. «Una realtà ben nota è che la tendenza del
costo per unità di prodotto in Germania si è allontanata per un
certo tempo dalla norma di stabilità del 2 per cento, arrivando a
sfiorare lo zero in regime di euro (iniziato già l’1 gennaio 1999,
quando diventa possibile fare operazioni finanziarie in euro, mentre
la moneta entra in circolazione l’1 gennaio 2002, ndr). Quando la
Germania divenne supercompetitiva, i suoi soci nell’euro persero
competitività in una misura equivalente a una svalutazione del 20
per cento in epoca anteriore all’unione monetaria».
Non solo ma come dicevamo
in precedenza l'inevitabile indebitamento derivante degli altri paesi
dell'Eurozona fu persino incoraggiato tramite l'acquisto dei titoli
di stato. Sempre Bigow scrive in un editoriale su El Pais:
«I flussi di credito
dalla Germania furono fondamentali nel rendere possibile che
persistessero divergenze all’interno dell’Eurozona e che
crescessero gli squilibri. Lì risiede anche l’origine dell’odierna
esposizione della Germania ai problemi di solvibilità nella
periferia europea. Questi dati di fatto dovrebbero essere ben noti,
ma l’interpretazione ufficiale scarica la colpa interamente sui
paesi debitori».
E difatti tale
percentuale del 20%, è ritenuta da più parti la necessaria
svalutazione monetaria di cui avrebbe bisogno ad esempio un paese
come l'Italia per tornare a competere su una base più sana e
naturale di economia di mercato, se non di più dato che la
permanenza in questa situazione continua a svalutare e indebolire le
economie della periferia dell'Eurozona, come testimonia la
fluttuazione degli spread, ora calmierata grazie ai massicci acquisti
di titoli della BCE disposta a farlo in modo illimitato come
promesso da Draghi.
3) Permanenza o
uscita dall'Euro ?
In
effetti l'euro alla fine, complice anche la volontà tedesca come
abbiamo visto, altro non è che un accordo di fissazione dei cambi e
quindi è perfettamente normale la fluttuazione e diversificazione
degli spread. De facto così è nato come abbiamo visto e così di
fondo è stato sin'ora.
Nei
rapporti fra diverse economie, per una semplice legge economica,
se le rispettive monete non sono libere di fluttuare, allora fluttua
l'economia. Questo perché al contrario di quanto vorrebbero fare le
politiche socialiste, le leggi economiche non si possono
controllare..
E' necessario quindi
operare delle manovre correttive di vario tipo per evitare
l'inflazione.
Nel caso dell'Euro, il
relativo apprezzamento della moneta, porta per legge economica, la
svalutazione del potere d'acquisto dei salari nelle altre nazioni.
Questo dato di inflazione lo si può vedere in modo lampante
confrontando gli indici di spread, gli stipendi e il tasso di costo
del denaro fra nazioni europee come Grecia, Italia, Spagna e la
Germania.
Le politiche sui cambi
fissi in realtà sono già clamorosamente fallite in passato. Man
mano che le condizioni economiche si evolvono, onde evitare
inflazione, può divenire molto complesso, difficile e soprattutto
costoso conservare politiche economiche a sostegno di tale cambio
fissato in precedenza, men che meno poi quando permangono squilibri
economici. Prendiamo ad esempio l'Italia. Negli ultimi anni da qui
come nel resto d'Europa, man mano che la Germania espandeva le sue
quote di esportazioni in Europa, l'Italia come altri paesi ha visto
ridurre le proprie. Se ci fossero ancora le valute nazionali, sarebbe
logico dire che a causa di una riduzione della domanda verso i
prodotti italiani, per una normale legge economica, la lira o il neo
euro-italiano sarebbe svalutato o si svaluterebbe nel caso fosse
lasciato libero di fluttuare. Svalutato naturalmente rispetto la
moneta tedesca, ossia in assenza di cosiddette politiche di
svalutazione competitiva, ma secondo una normale e naturale
correzione economica valutaria secondo il valore di mercato, in
questo caso inferiore.
Nel caso di cambio fisso
se non svaluta il cambio, svaluta l'economia e quindi il potere
d'acquisto ossia si ha inflazione interna dell'economia reale, poiché
l'inflazione è data dal rapporto fra salari e prezzi.
Per evitare questo
fenomeno è necessario che aumenti la domanda verso la produzione
interna. Fermo restando l'innovazione nell'offerta è necessario che
sia proprio l'economia più forte a sostenere delle importazioni
maggiori e ove il caso finanziando direttamente le economie più
deboli, fungendo da Core Economy come ad esempio hanno fatto gli USA
dal 1945 in poi, divenendo il motore economico del pianeta dando in
particolare all'Occidente Alleato sviluppo e stabilità, e in realtà
accumulando anche problemi come premesso all'inizio nel merito degli
squilibri economici, ma ci torneremo meglio in un' altra occasione.
Non a caso nel merito
un'altro economista tedesco suggeriva di aumentare gli stipendi in
Germania, al fine di aumentare le importazioni tedesche.
Personalmente dubitiamo che sia la misura più efficiente, tanto più
che gli stipendi tedeschi sono già il doppio o il triplo dei nostri
effettivi circa, ma in ogni caso segue la linea dell'aumento di
importazioni ed eviterebbe la svalutazione delle economie della
“periferia” Europea, gravate anche dalla pressione migratoria che
aumenta l'offerta di forza lavoro a confronto con una diminuzione di
domanda della stessa.
Ulteriore proposta
potrebbe essere un maggiore sviluppo dell'economia interna tedesca
che ha ancora molto spazio per la crescita, portando così una minore
dipendenza dalle esportazioni e di conseguenza riuscendo ad assorbire
più importazioni, in altre parole parificando maggiormente la
bilancia commerciale. Basti pensare alla parte est, non solo la
Germania Est, ma anche il confine est dell'ex Germania Ovest,
tradizionalmente territori meno sviluppati e il cui miracolo di
crescita si deve all'amministrazione Khol gettando le basi per la
riunificazione. C'è ancora molto spazio di crescita in Germania e
tale crescita può sostenere l'offerta dell'economia Europea
basandosi su un'economia di mercato e non competizione valutaria o
inflattiva ecc. come visto sin'ora.
Data la scala
dell'economia e del commercio attuale, sarebbe ad ogni modo
auspicabile una maggiore cooperazione e coordinazione politica fra i
governi delle nazioni europee.
L'alternativa è quella
di lasciare che tali paesi, come ad esempio la Grecia, escano almeno
temporaneamente dall'Euro, al fine di lasciare “svalutare” la
propria moneta ( rispetto quella tedesca ), di modo che il valore
corretto corrisponda di più all'economia nazionale. In questo modo
salendo di prezzo le merci di importazione, principalmente tedesche,
ma non solo, i Greci torneranno a consumare i propri prodotti e anche
ad esportarli a prezzi vantaggiosi per le economie più forti,
permettendo quindi una rivalutazione dell'economia nazionale e della
ricchezza Greca che porterà infine la possibilità di un rientro in
area Euro quando l'economia sarà migliore. Una manovra di questo
tipo necessita di circa un paio di anni. E' infatti falso dire che
tale svalutazione porti inflazione, ciò che si ha in questi casi è
agflazione ossia aumento dei prezzi dei beni di importazione, che
in questo caso avrà anche effetti positivi, poiché spingerà i
consumi e la spesa verso la produzione domestica, per poi aprirsi ai
consumi internazionali naturalmente man mano che la ricchezza Greca
tornerà a crescere. Certo è un'economia più da nazione in via di
sviluppo, e in realtà è così che andrebbe trattata la Grecia e non
solo lei a dire il vero, per come sono state ridotte.
In Italia possiamo
ricordare anche la svalutazione del '92, che vide molto attivo il
ruolo del fondo di George Soros che “puntando” contro lira
italiana e sterlina inglese, contribuì al crollo delle valute, per
quanto a dire il vero già in difficoltà per proprio conto. Le
valute crollarono così tanto da uscire persino dallo SME. Gli
Italiani lo ricordano come la manovra di Amato per salvare la moneta
e per, aggiungiamo, farla rientrare nello SME. La veerità era che
l'Italia rischiava di andare in bancarotta nel giro di un paio di
anni. Ebbene la svalutazione che ci fu e fu notevole di circa il 30%,
non comportò inflazione interna di pari andamento che invece si
attestò intorno al 6%.
E' di questa opinione
anche uno dei massimi economisti tedeschi, Hans-Werner Sinn
non a caso a capo dell'Ifo, una delle principali associazioni ( Think
Tank ) di economia in Germania e intervistato nel merito dallo
Spiegel http://www.spiegel.de/international/europe/top-german-economist-restructuring-greece-within-the-euro-is-illusory-a-816410.html
Nell'intervista del
febbraio 2012 quando si stava
decidendo per il maxi salvataggio alla Grecia per 170 miliardi di
Euro, Sinn diceva in sostanza quanto da tempo è scritto anche
su queste pagine, ossia che i costosissimi salvataggi per la Grecia
non serviranno a nulla, sono una perdita di tempo, buoni perché il
governo di turno rimandi la cosa sino a dopo le elezioni, ma che
finisce per aggravare la situazione.
Perchè ?
Perchè, risponde Sinn,
il debito esterno della Grecia aumenta ogni anno che passa, fino a
quando uscirà dalla moneta dell'unione. In questo modo ci si
allontana sempre di più dal risolvere il problema. Problema che nel
caso della Grecia è la scarsa competitività. I prestiti a basso
costo che l'euro ha portato al paese, hanno artificialmente aumentato
i prezzi e gli stipendi, e il paese deve tornare indietro da questo
alto livello.
Questo è particolarmente
vero, aggiungiamo, prima dello scoppio della crisi in Grecia, ma è
una situazione che di fondo permane a causa della facilità di
accesso al mercato tedesco dato dalla moneta unica.
Ma allora le nazioni
europee non dovrebbero aiutare la Grecia ?
In realtà secondo Sin le
nazioni dovrebbero contribuire in maniera tale da facilitare l'uscita
della Grecia dall'Euro. Il governo greco dal canto suo dovrebbe usare
tali soldi per nazionalizzare le banche del paese e prevenire lo
stato dal collassare permettendo così a stato e banche di continuare
a funzionare attraverso la turbolenza che verrà nel paese
dall'uscita dall'Euro. Un po', aggiungiamo, come gli aiuti per le
nazioni in via di sviluppo. Aiuti internazionali che andranno in
particolar modo ad alleviare la popolazione da dure condizioni
economiche che la colpiranno, seppure solo in linea temporanea, circa
1 o 2 anni.
Questo perché la dracma
si svaluterà immediatamente stabilizzando la situazione molto
velocemente. Insomma come dice Sinn, dopo la tempesta, il sole
tornerà a sorgere ancora.
Ma come l'uscita
dall'Euro aiuterà la Grecia in termini concreti ?
La renderebbe più
competitiva, risponde Sinn esattamente come ragionavamo anche noi,
ossia rendendo rapidamente più economici i prodotti Greci, e in modo
tale da ridirezionare la domanda dalle importazioni verso la
produzione domestica di beni. I Greci non compreranno più i pomodori
e le olive dall'Olanda o l'Italia, ma dai loro propri coltivatori. E
i turisti che sono andati via da una Grecia troppo costosa negli
ultimi anni, tornerebbero. Oltretutto, nuovi capitali, fluirebbero
all'interno del paese. I ricchi Greci che depositano così tanti
miliardi, probabilmente centinaia di miliardi di euro in Svizzera,
vedrebbero scendere il costo delle proprietà immobiliari e degli
stipendi e avrebbero un notevole incentivo per cominciare ad
investire nuovamente nel loro paese.
Ma l'uscita dall'Euro
porterà la Grecia alla bancarotta ? Bisogna forzarne l'uscita ?
Esattamente l'opposto. La
bancarotta forzerà l'uscita. I Greci uscirebbero immediatamente
senza aiuti internazionali, poiché la bancarotta non può essere
amministrata nel sistema dell'Euro. Lo stato sarebbe insolvente e il
sistema bancario anche. L'intero sistema dei pagamenti crollerebbe.
Il caos può essere evitato solamente se la Grecia esce lasciando
svalutare la moneta immediatamente.
Questo non significa che
debba essere forzata ad uscire. Ma allo stesso tempo i Greci non
hanno diritto a ricevere assistenza finanziaria in modo permanente
dagli altri paesi europei, così come i creditori Greci non hanno
nessun titolo o diritto nel doversi far pagare i debiti dalla
comunità internazionale. Ognuno dovrebbe guadagnarsi il proprio
stile di vita, così come chi sceglie di investire soldi con un certo
rischio, deve poi assumersi tale rischio.
E su quest'ultimo punto
in particolare, siamo pienamente d'accordo. Ma del resto come la
storia insegna conflitti, contese e guerre fra nazioni spesso anche
per questioni economiche ossia di soldi, non ultimo di soldi
investiti male o prestiti non restituiti. Il libero mercato ci ha
dato la libertà anche di fallire e ci ha insegnato la responsabilità
personale. Nel momento in cui tali principi vengono scavalcati perché
“non si può fallire”, allora non c'è libero mercato fra tali
nazioni, per varie ragioni, o ha in generale smesso di esserci da un
pezzo.
Ma se la Grecia esce
dall'eurozona, le misure di austerità saranno ancora necessarie ?
In questo caso, in realtà
il risparmio corrisponde solo ad una riduzione della crescita del
debito. Gli economisti solitamente si riferiscono al risparmio solo
se il debito attuale è ripagato. Ma non c'è nessuna possibilità
che la Grecia sia anche solo lontanamente vicino a fare una cosa del
genere. D'altro canto è vero che la Grecia ha fatto uso di flussi di
credito a basso costo dall'esterno, e per il quale è politicamente
impossibile tagliare stipendi nella misura estesa necessaria a
rendere il paese più competitivo.
I Prodotti Greci,
continua Sinn, dovrebbero divenire circa il 30% più economici in
modo da andare in pari con la Turchia. E questo si può avere solo
attraverso un'uscita dall'Euro e svalutazione.
Senza svalutazione,
milioni di listini di prezzi e stipendi contrattuali, dovranno essere
riscritti. Questo porterà una radicalizzazione delle unioni
sindacali e associazioni di commercio, spingendo il paese sull'orlo
di una guerra civile. Oltretutto, le aziende andrebbero in bancarotta
in quanto i loro assets si sfalderebbero ( shrink ) mentre i
rispettivi debiti bancari resterebbero immutati. L'unico modo per
ridurre il debito bancario è attraverso la svalutazione. Il piano di
ristrutturare la Grecia nell'euro è illusorio.
Al contrario di quanto
potremo pensare, Sinn infine accusa USA, Londra e Parigi di forzare
la permanenza della Grecia nell'Euro per coprire e limitare le
proprie perdite con i piani di salvataggio. Tutti sembrano dire che
“se i tedeschi smettono di pagare, finirà il mondo”, ma “questo
non è vero, ne sarebbero colpiti solo gli assets dei portafogli
titoli di alcuni investitori”.
Pur essendo in buona
parte concordi, riteniamo vi sia anche una certa complicità del
governo tedesco, che a vario titolo ha scaricato il proprio debito
sul resto dell'Eurozona lasciando le banche degli altri paesi con il
cerino del debito in mano. Ricordiamo un'altra importante analisi nel
merito che abbiamo scritto di recente:
Rimane ad ogni modo
interessante analizzare un'aspetto diverso della questione sulle
politiche di austerity in Europa.
- Default e Rinegoziazione
Il diritto di fallire,
cardine del diritto liberista moderno, ma anche antico. 4 mila anni
fa circa, gli antichi Sumeri, genitori di una civiltà commerciale
mediorientale molto avanzata e per alcuni aspetti paragonabile anche
alla nostra come complessità, capì molto bene che una società
eccessivamente indebitata costituiva un ostacolo e un problema molto
grande per il funzionamento dell'economia. Per questa ragione tutti i
debiti personali, tipicamente nei confronti dello stato venivano
cancellati ogni 7 anni o quando saliva un nuovo sovrano. In seguito
si svilupparono norme che tendevano a tutelare i debiti fra privati,
ma in ogni caso cancellando quelli principali verso il governo, si
permetteva così all'economia di non venire schiacciata dal peso di
un debito sistemico.
Anche nel nostro caso il
debito è oramai sistemico ed eccessivo e tale indebitamento, per
altro a fronte di politiche monetarie già piuttosto espansive, come
osserva anche l'FMI non sta facendo altro che rallentare la crescita
e promuovere la recessione complessiva. Una sua forte rinegoziazione
è cosa considerata e proposto nientemeno anche dall'Inghilterra che
parla esplicitamente di cancellazione del debito.
Ci troviamo del resto in
condizioni simili agli anni '30 o nel '45 e sarebbe opportuno
rinegoziare il debito pubblico per far ripartire l'economia, men che
meno quando come abbiamo visto, parliamo di debiti derivati costruiti
praticamente sul niente o su una “scommessa”.... a fronte di
notevoli squilibri economici.
A) Rinegoziare il
debito in Italia
L'Italia avrebbe
particolarmente da guadagnarci da un default o da una sua forte
rinegoziazione in quanto il disavanzo primario ossia gli incassi
dello stato al netto delle spese correnti escluso gli interessi, è
piuttosto positivo a fronte peraltro di una bilancia commerciale non
così avversa, che vede il made in Italy di qualità piazzarsi bene
sulla scena globale. Questo significa che rinegoziando il debito
l'Italia avrebbe circa 100 miliardi di Euro in più in bilancio,
attualmente pagati come interessi. Questo significa anche poter
tornare a piazzare il debito pubblico sul mercato reale e non nelle
banche centrali and co., poiché saremo in grado di pagare interessi
più alti così come il mercato ci chiede. Gli interessi attuali
abbassati tramite l'intervento della BCE, oltre ad essere a lunga
scadenza sono pure molto e troppo bassi spedendo il debito nelle mani
delle banche nazionali o centrali estere e nei grandi investitori.
Rinegoziandolo quindi significherebbe come all'epoca dei nostri
nonni, riportare il debito nelle mani degli italiani e soprattutto
abbassare la pressione fiscale.
B) La Grecia, la
Germania e gli accordi di Londra del 1945
Il caso Grecia è
certamente più delicato di quello Italiano in quanto come abbiamo
visto, al contrario dell'Italia, soffre un crollo complessivo della
produttività interna di gran lunga maggiore, con una bilancia
commerciale molto avversa e di conseguenza un riscontro molto
negativo nel bilancio della spesa corrente. Necessaria e urgente è
quindi la svalutazione monetaria per la Grecia.
Ma andiamo al 1945, la 2a
guerra mondiale era finita e a Londra si discuteva dei costi di
ricostruzione e dell'enorme debito di guerra che aveva la Germania.
Si capì all'epoca che accollare forti misure di austerity alla
Germania per ripagare il debito della 1a Guerra Mondiale, aveva
precipitato la nazione in una grave depressione, sino al crollo della
Repubblica di Weimar, il caos e come conseguenza l'ascesa del
Nazionalsocialismo. Per questa ragione, quando si parlava del
pagamento del debito incluso quello verso la Grecia nel '45, si
decise di non imporre forti misure di austerity alla Germania come
fatto in precedenza. Si stabilì il pagamento del primo conflitto
sino al 1933, ma a condizioni così vantaggiose che in pratica fu
dimezzato. Il resto dell'immenso debito pubblico per la guerra
globale scatenata da Hitler, fu invece rimandato ai decenni
successivi quando la Germania si fosse poi riunita. La Grecia era
all'epoca piuttosto contrariata e scettica sull'onorabilità futura
di tale accordo da parte tedesca, ma alla fine forte dell'appoggio
USA che risolveva così il problema tedesco, prevalse tale linea
contribuendo alla grande crescita e miracolo tedesco. Capiamo quindi
anche le basi legali su cui la Grecia, ma anche l'Italia, stretta
nella morsa della politica economica tedesca, aveva quindi chiesto
alla Germania il rimborso del debito di guerra, un costo importante,
che Berlino ha però prontamente rifiutato di pagare ( un po' a tutti
), continuando a strangolare la Grecia con l'Euro e l'austerity. E'
altresì incredibile denotare quanto la Germania del governo Merkel
mostri in modo spietato ancora una volta scarsa memoria e scarsa
gratitudine.
Si chiaro nessuno vuole
qui criticare la dedizione dei cittadini tedeschi tanto al lavoro
quanto al senso civico e progresso generale, né tantomeno si
dimentica la grande lotta per la Libertà dell'Occidente contro il
comunismo combattuta in Germania Ovest e a Berlino Ovest. Tuttavia
siamo anche consci, per primi i tedeschi, che quella Germania libera
e orgogliosa che con Khol stava ripagando molto bene il suo debito
verso il continente per vari aspetti non esiste più, lasciando al
suo posto il comportamento amaro e indigesto dei recenti governi
tedeschi.
3) CONCLUSIONI
“Se il potere
corrompe, il potere assoluto, corrompe assolutamente”
Charles Louis de
Montesquieu
"Il mondo è
pronto per raggiungere un governo mondiale. La sovranità
sovranazionale di una elite intellettuale e di banchieri mondiali è
sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale praticata
nei secoli passati ."
- David Rockefeller, 1991
-
Sicuramente in questo
contesto di grave inefficienza quando non corruzione del mondo delle
grandi banche che hanno gravato le nazioni e i popoli con i ricatti
del “too big to fail” ( troppo grandi per fallire ), si veda
ad esempio il recente scandalo MPS, costituendo de facto imponenti
politiche di cartello volute fortemente dalla global governance come
la Trilateral, è sicuramente ilarico ricordare le parole di
Rockefeller, fondatore della Commissione Trilaterale, di fronte
la descrizione della stessa e della global governance elitaria di
banchieri e ristrette cerchie di intellettuali, come sia “preferibile
all’autodeterminazione nazionale” dei
popoli.
Perché un investitore
o imprenditore “comune”, se sbaglia investimenti sono fatti suoi,
mentre se sbaglia una banca va salvata con i soldi dei contribuenti ?
Nè tantomeno è accettabile tutta questa insopportabile omertà
verso i banchieri quasi non siano mai colpevoli di niente. I
banchieri sono certamente figure professionali importanti, ma sono
professionisti e imprenditori come tutti gli altri. Se sbagliano e
devono andare in galera o fallire, ci devono andare, così come
succederebbe a chiunque altro, mentre invece si comportano come una
setta.
Se la storia umana è
progredita e si è evoluta lottando contro forme di governo
autocratico verso forme di governo libero e democratico, ci sono
delle ragioni, con poche eccezioni verso alcuni grandi statisti della
storia.
Nel nostro articolo
sul ruolo delle banche internazionali nel fallimento degli stati
http://indipendenzaitaliana.blogspot.com/2011/09/crollo-delleuro-e-fallimento-degli.html,
abbiamo visto come l'interconnessione esasperata dell'economia del
debito si risolve una volta portati al fallimento le nazioni e preso
il controllo dei loro bilanci tramite entità autocratiche bancarie e
sovranazionali come il MES, nell'instaurazione di un Nuovo Ordine
Mondiale e una forma di governo autocratico di stampo elitario dai
contorni e modi di agire poco trasparenti. Rimandiamo all'articolo
per maggiori approfondimenti, incluso la denuncia e le critiche di
famosi banchieri che non condividono tali politiche.
Del resto sono tutte
politiche non a caso piuttosto aliene dal libero mercato o American
Capitalism e difatti duramente criticate nei decenni scorsi, in modo
particolare negli anni '50 e primi anni '60, ma ci torneremo.
Rimandiamo anche ad un
altro articolo basato su documenti ufficiali dell'ONU e relative
politiche promosse in tale direzione:
Leggiamo dal sito
ufficiale della Commissione Trilaterale:
“Growing
interdependence is a fact of life of the contemporary world. It
transcends and influences national systems. It requires new and more
intensive forms of international cooperation to realize its benefits
and to counteract economic and political nationalism”.
In altre parole
l'obbiettivo principale della Trilaterale è promuovere
l'interconnessione internazionale. Fino a non molto tempo fa il sito
della Trilaterale faceva accento su come tale interconnettività
economica aveva permesso infatti alla crisi di espandersi rapidamente
forzando così le nazioni ad una sorta di cooperazione. Si vedeva in
un certo senso di buon occhio anche la riduzione del ruolo degli
Stati Uniti scendendo al tavolo della cooperazione con nazioni come
la dittatura comunista cinese o il la dittatura islamica in Iran. Si
è visto ampiamente come previsto il colossale fallimento di tali
politiche e anche la sua pericolosità insita. Come diciamo da sempre
tale interconnettività esasperata è come la costruzione di una
portaerei senza paratie.
E' certamente vero
che una condivisione di interessi economici, spinge verso una
maggiore cooperazione. Ma è altrettanto vero che come testimonia la
storia, la sola condivisione di interessi economici non è mai
sufficiente di per sé a promuovere né tantomeno garantire una
maggiore cooperazione, ma anzi può essere la premessa per conflitti
e tensioni. Non è raro infatti nella storia che la sola
condivisione economica priva di un fondamento di valori e ideali
etici e morali condivisi, sia stata la premessa per rafforzarsi prima
di un futuro conflitto e guerra espansionistica. Si veda ad
esempio il blocco imperiale Romano libero e civile contro le realtà
più tribali e guerigliere, il blocco del Cristianesimo Europeo
contro le invasioni islamiche o il blocco della NATO a difesa della
libertà contro il comunismo: in tutti questi casi la premessa non
sono i solo i legami economici, ma l'unità morale e di valori. Tanto
più che legami economici talvolta c'erano anche fra blocchi avversi.
Le idee
multiculturalistiche dell'Unione Sovietica dell'Internazionale
Socialista che dalla caduta del muro di Berlino hanno iniziato ad
essere discusse più liberamente anche negli ambienti della
governance in Occidente, hanno portato lo svuotamento dell'etica e
della morale in nome di un'aliena e impersonale politica di
cooperazione forzata. Come abbiamo visto non ha mai funzionato nella
storia e non funziona neanche oggi. Ricordiamo ad esempio le
ammissioni pressoché congiunte, dei leader politici europei che
negli scorsi anni dichiaravano il fallimento delle politiche di
integrazione multiculturale in Europa, in modo particolare verso gli
islamici, ma non solo secondo alcuni.
Ronald Reagan
inaugurando lo scudo stellare disse rivolgendosi ai vari leader
del mondo che “se fossimo invasi dagli alieni, saremo certamente
tutti più uniti”.
E' chiaro quindi che nel
promuovere una maggiore unità nel mondo, bisogna promuovere maggiori
valori morali ed etici che siano peraltro in grado di rafforzare il
senso della famiglia e non ostacolarli in tutti i modi delineando uno
forma di stato ateo, freddo e inumano.